| Lyra‚ |
| | III Una nuova avventura
Quando la cena ebbe termine, il re ci condusse in una stanza più piccola e accogliente, dove un fuoco scoppiettava allegro in un caminetto di pietra bianca lucente. L'arredo era sobrio ed elegante insieme e ricordava molto le illustrazioni dei miei libri di favole, tanto che quando fu invitata a sedermi lo feci quasi con rispetto. Peter si sedette accanto a me, mentre i due figli del re si sedettero su un'altro divanetto di fronte al nostro: il maggiore si chiamava Alderian e aveva diversi anni più di me. Era scuro di capelli e piuttosto silenzioso, ma i suoi occhi chiari trasmettevano intelligenza e serietà: ero sicura che sotto la sua apparenza schiva si nascondesse un gran cuore. Il secondo si chiamava Lexander e aveva un anno meno di me: rosso di capelli, con intensi occhi neri e il viso aperto e sorridente, intratteneva tutti con i racconti delle sue peripezie e delle sue avventure. Mi piaceva di più di suo fratello: i suoi modi mi mettevano meno in soggezione di quelli di Alderian... e Dio solo sapeva quanto avessi bisogno di sentirmi meno a disagio, in quel posto sconosciuto con indosso abiti a me del tutto estranei. Quando re Aldian si fu accomodato su uno scranno dall'alto schienale proprio di fronte al fuoco, intrecciò le dita delle mani e ci guardò con aria grave: - Credo sia giunto il momento di dirvi perchè siete qui. - Deglutii, agitata, e lanciai uno sguardo a Peter: con gli occhi fieri e la testa alta, stava seduto al mio fianco come un capitano in attesa di ordini. - Dovete sapere che qualche centinaio d'anni fa è stato ritrovato, nella terra di Archen, un prezioso cimelio: una coppa di terracotta intarsiata su cui è raffigurata la creazione di Narnia. I re di Archen l'hanno a lungo custodito come oggetto storico, ma durante un particolare periodo di siccità si sono resi conto che poteva essere utilizzato per rifornire di acqua tutte le genti, dato che si era riempito di un acqua che non si esauriva mai. Hanno consegnato il calice ai saggi, e quando essi hanno decretato che era un oggetto contenente un pizzico della magia che il Grande Leone ha utilizzato quando ha creato il nostro mondo hanno pensato che dovesse essere conservato in un posto più sicuro... e l'hanno portato qui a Cair Paravel. Il Calice della Creazione - così l'abbiamo chiamato - ha poteri straordinari: realizza i desideri di chi lo possiede. Il suo potere è infinito, ma utilizzabile da chiunque: se cadesse nelle mani sbagliate e chi lo ha rubato ne conoscesse il potenziale, potrebbe scatenare forze di distruzione incredibili. Aslan ci risparmi questa eventualità. - Disse Aldian con voce rotta, fermandosi con lo sguardo fisso alle fiamme che danzavano nel camino. Fu Alderian a riprendere il discorso. - Abbiamo portato il Calice della Creazione al Tempio della Tavola Spezzata, e lì l'abbiamo fatto custodire da guardie animali e umane. La sorveglianza è stretta, e affidata solo a uomini fidati. Qualche giorno fa una guardia è entrata a controllare e si è accorta che la nicchia era vuota. Hanno rubato il Calice. - - Rubato? Come hanno potuto? Le guardie non si sono accorte di nulla? - Chiese Peter. - No. - - Il vero pericolo arriva però da Calormen: tre giorni fa il loro Sommo Sciamano ci ha mandato una missiva: o ci arrendiamo a loro o raderanno al suolo Cair Paravel e tutto il suo regno. - Aggiunse il re. Vidi Peter stringere i pugni e i suoi occhi azzurri saettare verso il re: - Pensate che abbiano rubato loro il Calice? - Domandò. - Non lo pensiamo. Lo sappiamo. - Rispose Lexander - Quando abbiamo scoperto cos'era accaduto, abbiamo mandato nostri messaggeri in tutto il regno, chiedendo a chiunque di comunicare qualsiasi evento strano che fosse stato notato. Una famiglia di giovani fauni ci ha riferito che il loro bambino era scomparso proprio nella settimana precedente alla sparizione del Calice. Interrogato, il piccolo non ha saputo dirci dov'era stato e cosa aveva fatto. - - Dovete sapere che gli Stregoni di Calormen sono abili nel manipolare la mente. L'avranno incantato e se ne saranno serviti per portare via il Calice. - - Ma perchè... Perchè un bambino? - Chiesi. - Solo una persona dal cuore puro può prendere il Calice tra le mani senza impazzire. Un uomo a capo di un esercito non potrebbe nemmeno sfiorarlo... e nemmeno un re, con tutte le decisioni difficili che deve prendere. Ho vegliato giorno e notte alla Tavola di Pietra, chiedendo ad Aslan un aiuto... e siete arrivati voi. - - Ma sire, vedete anche voi che non siamo più bambini. - Intervenne Peter. - Se Aslan vi ha mandato, ritiene che il vostro cuore sia abbastanza trasparente da poter prendere il Calice. E io ho fede in Aslan. - - Anche noi. - Rispose Peter, lanciandomi un'occhiata complice. - Da dove possiamo cominciare? - - Ora potreste cominciare ad andare a letto. - Disse il re, alzandosi. Improvvisamente sembrava molto più vecchio. - Domani, quando sarete riposati, vi spiegherò cosa abbiamo in mente. - Ci congedò con un cenno del capo. Peter si alzò, fece un rapido inchino ai due principi e al re e poi mi porse il braccio. Con una goffissima riverenza salutai anch'io e feci scivolare il mio braccio sotto quello di Peter, sentendomi meglio solo quando la sua stretta solida mi guidò fuori dalla sala. Respirai l'aria fredda del corridoio cercando di capacitarmi di quello che mi stava succedendo. Peter non disse nulla, lasciandomi ragionare con calma sulla situazione. Quando raggiungemmo la porta della mia stanza, Peter mi lasciò andare e mi sorrise. - Cerca di dormire. - Mi disse. - Buonanotte. - Buonanotte. - Disse io, posando una mano sulla maniglia della porta. All'improvviso mi voltai e diedi voce alla domanda che morivo dalla voglia di fare dall'inizio della cena. - Aspetta. Ma... ma tu qui... qui sei davvero un re? - Peter sorrise, abbassando gli occhi con un'aria imbarazzata che non gli si addiceva. Fece un passo verso di me guardandomi con quei suoi incredibili occhi azzurri e mi si avvicinò, parlando con un sussurro. - Quando siamo venuti qui la prima volta e abbiamo sconfitto Jadis, siamo stati eletti re e regine di Narnia. Ma al momento io non sono re. Mi chiamano così in segno di rispetto, ma la corona è sulla testa di Aldian. - Avevo in mente moltissimi commenti, a quella frase, ma non riuscii a pronunciarne nemmeno uno. Abbassai lo sguardo sulle mie braccia a salsiccia che stringevano la gonna gonfia del vestito e strinsi la maniglia della porta, spalancandola davanti a me. - Ci vediamo domattina. - Dissi solamente.
La mattina dopo Emeraude venne a svegliarmi aprendo le tende e facendo entrare il sole di Narnia in tutto il suo caldo splendore. - Re Peter mi ha chiesto di venirvi a svegliare, ha detto che vuole portarvi a vedere Narnia! - Esclamò allegramente - Vi lascio qui l'abito pulito e la colazione, se ha bisogno di qualcosa sarò subito da lei! - Disse allegramente, con la treccia bionda ondeggiante sulle spalle e il solito sorriso luminoso dipinto sul viso. Quando si fu chiusa la porta alle spalle mi misi a sedere nel grande letto a baldacchino sfregandomi gli occhi per cancellare le ultime tracce di sonno. Sul tavolino sotto la finestra stava un vassoio pieno di pane e marmellata, con una brocca di latte fumante... e mi venne l'acquolina in bocca. Scesi dal letto inciampando nelle coperte e nell'orlo della camicia da notte e mi sedetti al tavolino, godendomi la vista sul mare di Cair Paravel mentre mi saziavo di pane e latte. Avevo appena terminato di mangiare, quando mi accorsi che sulla spalliera della mia sedia stava l'abito che Emeraude aveva preparato per me. Ebbi un attimo di intenso rifiuto, chiedendomi dove fosse finita la mia umile divisa scolastica, ma poi lo osservai meglio: era lungo fino alle caviglie, di spesso panno blu scuro arabescato di grigio e azzurro. Era senza maniche, e sotto di esso Emeraude aveva scelto una casacca bianca ricamata di blu attorno ai polsi e al collo, dove si chiudeva con un intreccio di nastri blu. Lo indossai da sola, compiacendomi del fatto di aver già preso confidenza con quegli abiti così insoliti, e mi specchiai: la gonna che non si gonfiava attorno al mio corpo e le maniche ricamate che cadevano in morbide onde sulle mie mani mi facevano sentire decisamente meglio. Recuperando pettine e nastri, ravviai i miei capelli ai lati del viso, raccogliendoli nei miei consueti codini di tutti i giorni: se riuscivo a non guardarmi al di sotto del collo, sembravo quasi la stessa Elizabeth che vedevo nello specchio di Londra. Peter mi aspettava nella corte di Cair Paravel: era vestito di grigio e marrone e i suoi capelli dorati brillavano come non mai sotto quel sole stupendo. - Buongiorno, Elie. Hai dormito bene? - - Bene, sì. - - Vieni, ti faccio vedere il tuo cavallo. - Mi disse emozionato, anticipandomi in un corridoio sulla sinistra. - Cavallo? Io non ho mai cavalcato prima... e non ho intenzione di cominciare. - Dissi, mentre lo seguivo piena di ansia. L'odore di fieno che aleggiava nelle stalle era intenso e pungente, e Peter raggiunse un box da cui spuntava la testa di un cavallo marrone, la cui folta criniera aveva il colore chiaro e puro della sabbia. I suoi occhi ambrati e intelligenti mi guardarono avvicinarmi mentre Peter le accarezzava il muso. - Lei è Elizabeth. - - Non sembra molto entusiasta. - Sentenziò il cavallo. La sua voce femminile era intensa e rotonda e io sbattei le ciglia, avvicinandomi di un passo. - Prego? - Domandai. - In quale tronco cavo l'avete trovata, re Peter? Non sembra di queste parti. - Disse la giumenta, ridendo. - Non prenderti gioco di lei, Luce. È la prima volta che mette piede a Narnia. - Luce scrollò la criniera, uscendo dal box e avvicinandosi a me. Spaventata dalla sua stazza e dal suo eloquio, rimasi immobile finchè non mi diede un buffetto sulla spalla con il muso. - È un po' spaesata, ma mi piace. - Fu la sentenza della giumenta. Peter mi si avvicinò, porgendomi sella e briglie. - Và da Clinus, ti insegnerà a sellarla. - Disse con un sorriso, accennando al centauro pezzato che faceva da stalliere. - Luce è una cavalla tranquilla e intelligente. Imparerai in fretta. - Disse lui. Come in un sogno presi le cose che mi tendeva e feci quello che mi aveva detto. Fu solo quando mi ritrovai fuori dalle stalle con Luce sellata e imbrigliata e Peter che portava al passo un destriero bianchissimo che mi resi conto di quello che mi stava capitando. Peter salì in groppa a Vento, il suo cavallo, mostrandomi come si faceva. Sembrava facile, ma al mio primo tentativo riuscii solo ad inciampare nell'orlo del mio abito, sbattendo il naso contro la sella e sentendomi piuttosto sciocca. Peter smontò e mi mostrò come fare, lentamente e con pazienza, ignorando i miei errori e le mie guance paonazze per l'imbarazzo. Al quarto tentativo le sue mani calde sulla vita mi sollevarono quel tanto che bastava da farmi salire in groppa a Luce. Presi le briglie stupendomi della mia altezza da terra. Peter salì sul suo cavallo con una grazia degna di un re, e uscimmo al passo da Cair Paravel, avviandoci verso il bosco che avevamo lasciato il giorno precedente. - Se svoltiamo a destra immediatamente arriveremo presto al mare. - Disse Vento. Mi sarei mai abituata a sentire gli animali parlare? Probabilmente no. - Vorrei andare alla Tavola di Pietra, prima. - Rispose Peter. - Come preferite, sire. - Disse con un sorriso. La passeggiata nel bosco fu piacevole, anche se le mie gambe e la mia schiena, estranee alla posizione in cui ero, in breve tempo gridarono di dolore. Peter mi aiutò a scendere e continuammo a camminare sul tappeto di erba e aghi di pino, scambiandoci chiacchiere e commenti quasi sottovoce, godendoci il respiro della foresta e il richiamo degli animali. Lentamente il bosco divenne più rado e grandi prati presero il posto dei tronchi d'albero. - Manca molto? - Domandai, iniziando a sentire la stanchezza. - No, affatto. Seguimi. - Disse Peter, facendomi strada fuori dal bosco, al di là del quale si apriva una enorme prateria, dominata da una piccola collina ricoperta d'erba di un verde così vivido da non sembrare reale. Attraversata la pianura, raggiungemmo una entrata ai piedi del clivo, invisibile dal bosco: quando entrammo, rimasi letteralmente a bocca aperta, guardando tutto con occhi spalancati e pieni di stupore. Eravamo in un grande tempio sotto una volta di terra e roccia, dove l'unica luce era quella delle torce e dei focolari accesi. Al centro dell'enorme sala rotonda c'era una tavola di pietra spezzata in due. Si respirava una tale magia, in quel luogo, che quando parlai lo feci istintivamente sottovoce. - Era qui che era custodito il Calice? - - Sì. In una nicchia al di là della Tavola. - Rispose Peter in un sussurro. - Qui è stata spezzata l'Antica Magia... qui Aslan è stato ucciso innocente ed è tornato in vita. - Nel silenzio mi lasciai pervadere dalla sensazione di pace che quel posto trasmetteva quel posto, respirando l'aria fredda come se fosse stata un balsamo per tutte le ferite che mi portavo dentro. All'improvviso Peter ruppe il silenzio: - Ti ho portata qui perchè potessi capire che è importante per Narnia proteggere la sua magia. Non possono permettersi di essere schiavi, lo sono stati troppe volte. Puoi rinunciare, se vuoi... ma volevo farti sentire quanto sarebbe giusto combattere questa battaglia. - - Lo sapevo già. - Risposi con sincerità. Era la verità: dal momento in cui Aslan mi aveva guardato negli occhi, dentro di me si era accesa una candela. Era più simile a un minuscolo lumicino, ma sentivo la luce e il calore ardere dentro di me sotto il timore, l'ansia, la paura e il disagio. Sentivo che mi aveva dato qualcosa: non potevo non dargli niente in cambio. Stupito dalle mie parole, Peter si voltò a guardarmi negli occhi. - Davvero? - Domandò. - Davvero. - Risposi io, seria. I suoi occhi e le sue labbra mi sorrisero. - Sei mai stata al mare? - - No, mai. - - Allora ti ci devo portare. - Quando raggiungemmo Luce e Vento, Peter comunicò al suo cavallo la nostra meta. - È quasi ora di pranzo. Dovremo fare molto in fretta. - Disse Peter. - Allora è meglio accelerare il passo. - Sentenziò Vento. - Sei pronta a una bella cavalcata? - Disse Peter, sorridendomi. - Io no... non credo. - - Oh, avanti... è da decenni che non mi faccio una corsa degna di questo nome! - Esclamò Luce, e all'improvviso partì al galoppo. Mi tenni stretta con le ginocchia alla sella e strinsi le briglie, senza tirarle a me per la paura che Luce potesse imbizzarrirsi. Il vento mi frustava la faccia e l'aria mi faceva lacrimare gli occhi, mentre il paesaggio attorno a me si riduceva a un turbine di azzurri, verdi e marroni. Dopo quelle che mi sembrarono ore di agonia, arrivammo al limitare del bosco e i colori che vedevo divennero due indistinte macchie di azzurro e bianco. Luce rallentò e Vento ci raggiunse al galoppo, mentre i suoi zoccoli affondavano nella sabbia dorata della riva del mare. Peter fece fermare il suo cavallo proprio accanto a noi e smontò da cavallo. Poi vide che ero pallida di paura e mi si avvicinò con aria preoccupata. - Ti senti bene? - Domandò. Meccanicamente, scesi da cavallo lasciando le briglie... ma appena toccai terra le ginocchia non mi ressero. Peter mi prese per la vita con un braccio e mi trattenne contro di lui, impedendomi di finire nella sabbia. - Sì... sì... dammi solo un minuto... - Mormorai aggrappata alla sua casacca, nel disperato tentativo di tornare padrona del mio respiro e dei miei pensieri. - Non ho saputo trattenermi. Perdonatemi, sire. - Disse Luce. - Non preoccuparti. - Disse Peter, allontanandomi quel tanto che bastava per guardarmi in faccia. - Come ti senti? - - Sto... sto già meglio. - Mormorai, mettendomi dritta sulle gambe ancora malferme. e scrollando i capelli. - Dove siamo? - - Guarda tu stessa. - Disse lui, tenendomi per un braccio e scostandosi, così che i miei occhi potessero vedere l'immensa bellezza del mare di fronte a me. L'avevo visto nelle riviste e nelle immagini, e anche nei rari televisori che c'erano nei locali pubblici più frequentati di Londra, ma mai dal vivo. Sussurrava e respirava, mentre luccicava sotto il sole. Sembrava acqua e seta, zaffiri e diamanti. Mi mossi traballante verso la riva, affondando fino alle caviglie nella sabbia dorata. Raggiunsi il punto in cui le onde si allargavano bagnando la spiaggia e mi fermai, cercando di assaporare ogni dettaglio di quell'attimo di incredibile perfezione che pensavo non si sarebbe mai avverato, nella mia vita. Peter mi raggiunse e si sedette sulla sabbia: il sole era alto e spandeva il suo tepore nell'aria mentre il mare riempiva la brezza con il suo profumo, il silenzio era riempito solo dai sussurri dell'acqua e dalle rare strida degli uccelli marini. Le montagne disegnavano un confine argento e bianco all'orizzonte e non ci poteva essere niente di più da desiderare, in un momento come quello. Mi lasciai cadere sulla sabbia morbida e abbracciai le ginocchia, avvicinandole al petto, rendendomi conto che un momento come quello non l'avevo mai vissuto, se non tra le righe di un libro. - Sono così felice. - Mormorai. - Davvero? - Chiese lui. - Non pensavo che avrei mai potuto assaporare una gioia così vera. - - In che senso? - - Nel senso che quando sei bambino la felicità è lì ogni minuto, per le cose più piccole. Un gioco, una sorpresa, un bruco diventato farfalla. Ma poi diventi grande, e quelle cose non contano più. E ti rendi conto che la felicità, in realtà, l'hai perduta e non la puoi più ritrovare. - - Perchè dici questo? - Lo guardai per un momento. Mi fissava con quei suoi cristallini occhi azzurri, bellissimo nel suo abbigliamento principesco, e davvero interessato al mio discorso. Sospirai e risposi mentre fissavo il mare per evitare il suo sguardo. - Sono le preoccupazioni e le responsabilità. Studiare, cucinare, comprare le cose per la cena, sistemare la camera, preoccuparsi del bucato, ascoltare mia sorella quando litiga con il suo ragazzo o i suoi amici, proteggerla dal male che i miei genitori si fanno e ci fanno quando litigano... sono queste, le cose che contano quando diventi grande. E tutto il resto perde la sua magia. Ho dovuto imparare a gestire una famiglia e a prendermi cura degli altri molto in fretta... e senza rendermene conto sono diventata adulta senza aver davvero mai goduto delle bellezze della giovinezza. - Per qualche minuto l'unico suono che ruppe il silenzio fu il calmo sciacquio delle onde. Mi girai verso Peter e notai che mi stava guardando con sguardo indecifrabile. - Scusa se ti ho rattristato con questo discorso - mi sentii in dovere di dirgli, mettendo in fretta le parole una dietro l'altra - E che... che qui è così diverso. Qui devo pensare solo a me stessa, non devo temere il futuro, l'umore dei miei genitori quando tornano a casa o il brutto voto ad un compito perchè non ero nello stato d'animo adatto a studiare. Qui posso essere davvero io e sperimentare la libertà, le emozioni e la bellezza del mondo che sperimentano tutti i personaggi dei miei libri: potrò vivere di avventure per qualche tempo, come solo i giovani fanno, prima di tornare ad essere adulta. Quello che intendo dire - Aggiunsi, temendo di averlo annoiato con quelle mie riflessioni cupe - è che sono felice di essere qui. Davvero. - Mi alzai in piedi, affondando nella sabbia bollente, e mi avviai verso i cavalli. Peter mi raggiunse un momento dopo, e bastò una breve cavalcata al trotto per raggiungere di nuovo Cair Paravel. Riportammo i cavalli nella stalla nel più completo silenzio. All'improvviso, mentre riponevamo briglie e selle, Peter parlò, evitando il mio sguardo. - Era per questo che piangevi? - Per un attimo rimasi in silenzio. - Sì. - Posai la sella al suo posto e mi voltai Peter era lì, fermo davanti a me. L'intensità dei suoi occhi azzurri mi stordiva e non riuscivo a capire che stava succedendo. Peter mi prese il viso tra le mani e continuò a fissarmi negli occhi, finchè non mi baciò sulla fronte. Un attimo dopo era uscito dalla stalla. Fu solo in quel momento che mi accorsi che stavo trattenendo il respiro.
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