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Middleheart, ~ Il Signore Degli Anelli

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Lyra‚
view post Posted on 14/1/2014, 12:00




~ Middleheart ~




Il vento freddo fischia attorno alla collina, ma accanto al fuoco si sta bene. La cucina è affollata dai bambini di mia sorella Rosie, che schiamazzano rincorrendosi per evitare di cadere vittime del sonno.
È l'ultimo giorno dell'anno e come di consueto sono stata invitata a casa loro per cena. Mia sorella sa che avrei passato quella serata da sola, esattamente come tutte le altre serate dell'anno, così ha preso l'abitudine di invitarmi a casa sua, luogo in cui poteva esserci tutto tranne che silenzio e solitudine.
Sam è seduto vicino al fuoco e tiene d'occhio i giochi dei suoi bambini con occhi pieni d'orgoglio e amore. Ad un certo punto Daisy, la più piccola, sale sulle sue ginocchia e si aggrappa alla sua camicia.
- Raccontaci una storia, papà! - Esclama.
Io, seduta dall'altro lato del caminetto, sorrido tra me e me. So benissimo che storia sta per essere raccontata: forse perché è quella che Sam racconta meglio, forse perché è una storia vera... ma tutte le volte qualcuno gli chiede di raccontare proprio quella. Questa sera è il piccolo Meriadoc a dare voce al desiderio di tutti:
- Sentiamo di Frodo e dell'Anello! - Esclama sedendosi sul pavimento di legno e preparandosi ad ascoltare la sua storia preferita.
Sam si sistema Daisy in grembo, sorride a sua moglie e attende che tutti e otto i bambini si siano accomodati davanti a lui, poi inizia a raccontare.
La storia la conosco a memoria, come tutti in quella cucina, tanto che quando Sam modifica o salta qualcosa uno dei bambini si precipita a correggerlo.
Quando Sam finisce di raccontare, sono come sempre in un oceano di lacrime.
- Zia, questa storia ti fa sempre piangere così tanto, forse dovremmo evitare di raccontarla tanto spesso! - Esclama Elanor preoccupata.
- Non è niente tesoro. Non è niente. - Rispondo io alla disperata ricerca di qualcosa con cui asciugarmi gli occhi.
Rosie mi passa un fazzoletto e Sam mi lancia lo sguardo di chi sa cosa mi sta passando per la mente. Mi asciugo il viso in fretta e sorrido nonostante sappia perfettamente di avere ancora gli occhi colmi di tristezza.
- Forza, bambini. Adesso è ora di andare a dormire. Date un bacio alla zia e filate a letto. - Dice Rosie.
Uno ad uno tutti i bambini passano a salutarmi e quando sono tutti spariti nelle loro camere Rosie e Sam mi abbracciano affettuosamente.
- Se vuoi restare c'è posto anche per te. - Dice mia sorella.
Scuoto la testa.
- Hai una famiglia intera a cui badare, non hai certo bisogno di una sorella zitella a cui fare da dama di compagnia. Grazie di tutto, sorellina. -
- Torna quando vuoi, sai che sei sempre la benvenuta qui. - Disse Sam.
- Lo so, non preoccupatevi. Buonanotte. - Risposi.
Uscii dalla loro casetta e percorsi il breve tragitto che portava a casa mia, sul versante opposto della collina. Il vento gelido aveva spazzato via le nuvole dell'inverno e nel cielo limpidissimo splendevano migliaia di stelle, brillanti come cristalli di ghiaccio.
Sostai per un solo istante sulla porta per godermi quello spettacolo ma il freddo intenso mi costrinse a rientrare. Come sempre il profumo dei miei tè e delle mie tisane mi avvolse come un abbraccio: malva e achillea, rododendro e pino. Avevo una tisana per ogni momento, e tutta Hobbiville veniva da me a cercare un dono o un rimedio.
Un infuso di melograno per ritrovare l'energia, platano e caprifoglio per un regalo ad un amico, mughetto e margherita per far addormentare un bimbo appena nato.
Non avevo affatto sonno e sentivo ancora negli occhi il calore delle lacrime, così decisi di consolarmi con il mio tè segreto, quello per i momenti importanti, quello di cui nessun altro – o quasi – sapeva l'esistenza.
Riattizzai il fuoco e appesi al gancio il bollitore pieno d'acqua, poi presi dallo scaffale gli ingredienti e mi misi a pestarli, mentre il loro dolcissimo profumo si spandeva nell'aria, riportandomi indietro nel tempo.
Com'era cominciato tutto?

Avevo lasciato Hobbiville assieme a mia nonna quando ero solo una bambina. Ci eravamo trasferiti non molto lontano, in un villaggio Hobbit nei pressi di Vesproscuro dove mia nonna sapeva di poter trovare le erbe e i fiori per i suoi infusi. Io ero una bambina irrequieta, capricciosa e prepotente, così quando mia nonna propose ai miei di portarmi con sé loro non ci pensarono due volte. Io non ero poi così dispiaciuta: non ho mai avuto paura di cambiare, di spostarmi e ricominciare daccapo. Mia madre dice sempre che non sono una Hobbit al cento per cento.
Quando mia nonna è morta ho continuato la mia vita lì senza troppi rimpianti per qualche tempo, ma lentamente la voglia di cambiare vita ha iniziato a farsi sentire. Di punto in bianco ho preso le mie cose, ho venduto la casa e sono tornata a Hobbiville.
Di tempo ne era passato tanto, la mia sorellina Rosie non era più una bimba in fasce ma una donna adulta, bella come il sole, intelligente e sensibile. Grazie al suo aiuto avevo comprato una casetta minuscola con la porticina rosa incastonata nel fianco della collina come una rosa in una siepe: in men che non si dica mi ero trasferita lì. La grande casa accanto alla mia era disabitata e vivevo tranquilla tra i miei tè e le mie tisane, guadagnandomi da vivere vendendole agli Hobbit dei dintorni.
Un giorno, all'improvviso, la casa accanto alla mia si era animata: la gente andava e veniva, c'erano sempre un paio di giovani Hobbit nel giardino e a volte anche il padrone di casa usciva a prendere una boccata d'aria.
Dopo molti ripensamenti un giorno mi presentai a casa dei miei vicini: il tempo mi aveva cambiata e avevo imparato se non altro le buone maniere, e presentarsi ai vicini era come minimo una questione di educazione.
Avevo indossato il mio vestito preferito, verde menta, sotto il grembiule ricamato di tutti i giorni e avevo preparato un grazioso sacchettino di lino chiaro colmandolo di trifoglio e fiori di pesco: un profumato tè di benvenuto per il mio nuovo vicino di casa.
Era un pomeriggio stupendo: l'aria tiepida portava il sapore del pane e dei fiori, il cielo turchese era limpido e chiaro e sembrava così vicino da poterlo afferrare.
Bussai alla porta rotonda della grande casa sulla collina e attesi per un momento.
- Sì, chi è? - Domandò una voce all'interno.
- Sono Viola Cotton, abito qui accanto. - Risposi io mentre la porta si apriva.
Il giovane Hobbit che stava al di là della porta mi sorrise e per un momento dimenticai anche come si respirava: gli Hobbit erano un po' tutti simili, di una loro bellezza particolare che li distingueva da tutte le altre razze ma che li faceva sembrare tutti parenti: gli stessi riccioli dorati, gli stessi grandi occhi nocciola.
L'Hobbit che mi stava sorridendo distruggeva tutti i canoni Hobbit che avevo in mente: aveva lucenti riccioli neri come la notte e gli occhi dello stesso colore del cielo di quel pomeriggio.
- Viola Cotton? Conosci Rosie Cotton, immagino. - Disse il giovane.
- Sono sua sorella. - Dissi io. - Ecco, ho portato un regalo di benvenuto. -
Il ragazzo prese il sacchetto che gli tendevo e lo odorò con gli occhi chiusi.
- È un tè di trifoglio e fiori di pesco... è una delle mie specialità. - Dissi.
- Se vuoi entrare potremmo assaggiarlo insieme. - Disse lui. - Io sono Frodo Baggins, il padrone di casa. -
Si scostò dalla porta e mi fece cenno di entrare. Un minuto dopo eravamo seduti al tavolo di ciliegio nella cucina di casa Baggins, mentre il bollitore fischiava già nel caminetto acceso nonostante la giornata tiepida.

Era così che era iniziato tutto, con una innocente tisana e quattro chiacchiere nella luminosa cucina. Fin da quel primo incontro avevo capito che c'era qualcosa che pesava sul suo cuore, qualcosa che faceva sempre sembrare che non stesse sorridendo con tutto il cuore e tutta l'anima. Mi chiedevo che cosa potesse essere: aveva perso qualcuno di caro? O forse aveva fatto del male a qualcuno?
Sulle prime quel pensiero mi aveva spaventato, ma le circostanze della vita mi avevano fatto ricredere. Ci incontravamo spesso per le vie di Hobbiville e ancor più spesso ci fermavamo a parlare nel cortile che divideva le nostre case. Lentamente mi resi conto che qualunque cosa pesasse sulla sua coscienza doveva essere del male ricevuto e non del male fatto: non avevo mai conosciuto Hobbit più intelligente, gentile e generoso del mio vicino di casa... e credo di poter dire che non mi accadrà di conoscerlo nemmeno in futuro.
Il fischio del bollitore mi richiamò completamente alla realtà e mi alzai dalla sedia imbottita davanti al fuoco per riempire di acqua fumante la teiera, dove l'infuso attendeva già sul fondo. Riempii una tazza e mi avvicinai alla finestra della cucina. Il torrente che scivolava allegro fino a gettarsi nel Brandivino aveva poca acqua e attendeva la piena che seguiva il disgelo. Quante passeggiate avevamo fatto sulle sue sponde, e quante volte ci eravamo fermati a leggere all'ombra dei suoi alberi!

Più il tempo passava e più gli incontri occasionali e le visite di cortesia avevano lasciato il posto a veri e propri pomeriggi assieme. Condividevamo i quieti pomeriggi d'estate e le tiepide sere d'autunno a casa dell'una o dell'altro, ridendo e parlando, talvolta piangendo per qualcosa che era accaduto, ma sempre insieme.
Lentamente ci eravamo fatti prendere da qualcosa di nuovo mai provato prima, qualcosa che ci legava e ci separava dagli altri, qualcosa di veramente speciale.
Un pomeriggio di primavera stavamo camminando lungo le sponde del torrente, e all'improvviso sentii la sua mano attorno alla mia. Prima ancora di poter realizzare che cosa volessi fare, avevo ricambiato la stretta.
Era strano tenere la sua mano destra nella mia: all'anulare mancavano due falangi. I ragazzi del paese lo prendevano in giro, lo chiamavano “Frodo dalle nove dita”, ma lui non si arrabbiava mai. Quando io gli avevo chiesto che cosa era successo, lui si era stretto nelle spalle e aveva detto solo “un incidente”, cambiando subito discorso.
Quel giorno però, vicino al fiume, la sua mano si era stretta attorno alla mia e io gli avevo sorriso. Frodo aveva abbassato gli occhi sulle nostre mani intrecciate e poi aveva distolto lo sguardo con ribrezzo.
- Che succede? - Gli chiesi.
- Non avevo mai notato quanto la mia mano fosse brutta. - Sussurrò lui.
- Oh, ma smettila. Ti manca solo qualche centimetro, non farla così lunga! - Risposi io, sdrammatizzando come mio solito.
- La verità è che è una storia lunga. - Disse lui.
- Lunga? - Domandai io, scettica. Era stato solo un'incidente, no? Probabilmente si era ferito con un coltello, forse con l'ascia spaccando la legna, qualcosa del genere!
- Credo che tu sia la persona giusta per ascoltarla. - Disse Frodo poi.
Ci sedemmo sotto un gigantesco noce dalle foglie appena spuntate e lui mi guardò con i suoi occhi chiari per un lungo momento prima di iniziare a raccontare.
Fu la prima volta che sentii il racconto di Frodo e dell'Anello, la prima volta che tremai e sorrisi a quelle parole che avrei ascoltato uguali tante volte. Fu la prima volta che una lacrima mi sfuggì quando mi resi conto che dopo tutte quelle terribili vicende tutto era andato bene. Alla fine della storia mi resi conto che l'ombra che occupava i suoi occhi sembrava essersi dissolta: i suoi occhi azzurri erano ancora più limpidi e splendenti di prima, e pareva che ora non ci fossero segreti che occupassero il suo cuore.
Niente malefatte o orribili misteri, allora. Il suo era solo il peso di un animo che ha dovuto subire troppe disavventure. Quel pensiero non solo mi rassicurò, ma aumentò ancora di più quello che provavo per lui.
Lasciandomi andare come al solito alle emozioni senza pensarci su un momento, gli gettai le braccia al collo e lo strinsi più forte che potevo. Sapevo di sembrare una bambina, una sciocca ragazzina Hobbit, ma non volevo ascoltare la mia ragione, in quel momento meno che mai.
Lo sciolsi dall'abbraccio e Frodo mi sorrise, con gli occhi lucidi.
- Nessuno mi aveva mai abbracciato così. - Disse.
- Forse perché nessuno ti ha mai amato quanto ti amo io. - Risposi con leggerezza.
Per tutta risposta Frodo mi abbracciò di nuovo nascondendo il viso nei miei riccioli disordinati.
- Vale lo stesso per me. - Sussurrò.

Presa com'ero dai miei ricordi avevo lasciato raffreddare il tè senza nemmeno finirlo. Sospirando, lo gettai via e riempii un'altra tazza. L'infuso rimasto nella teiera era più caldo e molto più forte di quello che avevo gettato via e mi bastò un sorso per sentire le lacrime premere ancora di più contro i miei occhi.

Erano passati anni. Due splendidi anni in cui quello che era nato tra di noi non aveva potuto che crescere, mettere radici e sbocciare come i fiori a primavera.
Di tanto in tanto, Frodo mi portava un mazzo di fiori colti nel suo giardino. Spesso erano rose rosa e gelsomini: diceva che il profumo dolcissimo di quei fiori gli ricordava me.
- Non sono fiori regali e nemmeno troppo rari. Forse sono semplici fiori da giardino... ma ogni volta che ne respiro il dolce profumo torno di buonumore e mi sento più allegro e speranzoso che mai. - Mi aveva detto la prima volta che me li aveva portati.
Dopo quelle parole avevo preso l'occorrente e avevo tritato i petali dei fiori che mi aveva regalato, mettendoli a seccare nei sacchetti di lino.
Non molto tempo dopo eravamo seduti in cucina a parlare e a sorseggiare la più buona delle mie tisane: dolce come il gelsomino e delicata come la rosa, perfetta per noi. Era una di quelle bevande che tranquillizzava e rasserenava, e ovviamente mi ricordava lui.
Dopo che mi aveva raccontato la storia del suo passato, l'avevo convinto a metterla per iscritto. Per molto tempo mi aveva risposto che lui non era un narratore bravo quanto suo zio Bilbo... ma ero rimasta ostinata e insistente come da bambina e a furia di farmela raccontare mi ero convinta che aveva le doti giuste per metterla nero su bianco.
L'aroma della tisana rosa e gelsomino riempiva i pomeriggi passati nella mia cucina, mentre lui scriveva le sue avventure e io preparavo nuovi tè e tisane. Era la vita semplice e perfetta della Contea, quella che avrei voluto vivere per il resto dei miei giorni. Certe volte tanto tentavo di parlare del futuro con lui, ma i suoi occhi mi supplicavano di evitare il discorso e di non chiedergli di più.
Era in quei momenti che vedevo quell'ombra scura che era scomparsa dai suoi occhi ripresentarsi e infittirsi sul suo cuore. Non sapevo perché, ma il futuro lo preoccupava. Così decisi che la mia vita era perfetta così com'era. Il tempo avrebbe cambiato le cose, se quello era ciò che doveva succedere.
Poi, una mattina, Frodo era arrivato a casa mia. Aveva gli occhi lucidi, il viso serio e le mani che tremavano.
- Devo dirti una cosa. - Aveva detto solamente.
Si era seduto al tavolo e mentre io preparavo il nostro tè mi aveva detto l'unica cosa che mi aveva taciuto nel suo racconto.
- Questo non lo metterò nel libro, Viola. Questo resterà un segreto. Pensavo che l'avrei tenuto nascosto nel mio cuore ma forse dirlo a te lo renderà meno terribile. -
Mi aveva preso le mani e mi aveva detto la verità: non poteva rimanere.
Se ne sarebbe andato presto, una delle successive mattine d'autunno, in un'alba dorata e fredda. Una nave l'aspettava al porto per portarlo nelle terre immortali.
All'inizio non ci avevo voluto credere, poi l'avevo supplicato di rimanere, mi ero arrabbiata, avevo pianto... ma qualunque cosa io facessi lui rimaneva serio, con gli occhi appena velati di lacrime, e mi abbracciava accarezzandomi i capelli.
Quando infine tutte le mie emozioni si erano ridotte a una quieta rassegnazione, mi aveva preso il viso tra le mani e mi aveva baciato con dolcezza sulle labbra.
- Non possiamo evitarlo. Ma possiamo decidere cosa fare con il tempo che ci resta. - Mi disse lui con uno dei rari sorrisi che gli illuminavano anche gli occhi.

Il fuoco nel camino si era quasi spento, il tè si era raffreddato del tutto e la notte era scesa ancor più gelida e buia di quanto non fosse già stata prima.
Mi strinsi nello scialle che mi ero gettata sulle spalle quando avevo iniziato a tremare e avevo appoggiato la fronte al vetro gelido della finestra.
Avevo di nuovo voglia di piangere. Ogni volta che Sam raccontava la storia di Frodo e dell'Anello tornavano a vivere tutte le emozioni che erano rimaste nascoste dentro di me. Da quando lui se n'era andato ero diventata più silenziosa e tranquilla, ed ero diventata estramamente solitaria. Gli anni per me erano passati, e non avevo mai trovato nessuno a cui interessarmi di nuovo.
Viola la silenziosa, Viola la solitaria, ora mi chiamano.
Nessuno, credo, si ricorda di quello che ho vissuto, della Viola che ero prima, dell'amore che ha incrociato la mia vita e a cui ho dovuto dire addio.

Era una mattina di ottobre, già fredda come una delle mattine d'inverno. L'alba era grigia e oro ed ero ferma sull'uscio della mia casa.
Sapevo che sarebbe successo quel giorno, Frodo mi aveva avvertito. Non appena la luce aveva baciato il mio viso mi ero precipitata nel giardino, temendo che se ne sarebbe andato senza salutarmi. Davanti a casa Baggins stava un carretto coperto con un anziano uomo dall'abito bianco alla guida. Sam, sposo di mia sorella da qualche anno, aspetta il suo padrone nel cortile. Accanto a lui ci sono due Hobbit di altezza decisamente sopra la media.
Frodo esce di casa avvolto in un mantello verde bosco, con i riccioli bruni scomposti e gli occhi più seri che io abbia mai visto. Immediatamente si volta verso il mio cortile e i suoi occhi incrociano i miei.
Con un cenno del capo invita i suoi amici ad andare avanti e mi raggiunge sulla porta.
- Sei sveglia. -
- Temevo che non saresti passato. -
- Credi davvero che me ne sarei andato senza dirti addio? - Disse lui abbracciandomi.
Non volevo rovinare quel momento con le lacrime, anche perché già buona parte della mia allegria se ne stava andando assieme a lui.
- Porta questo con te. - Dissi io tenendo in mano un sacchettino di lino ricamato. - Dove stai andando potrai berlo e ricordarti di me. -
Frodo chiuse la mia mano attorno al pacchettino.
- Dove sto andando non posso portare niente. Solo i ricordi. -
Ci abbracciammo ancora per un tempo che sembrò sempre troppo breve, poi mi sciolse dall'abbraccio e mi baciò sulla bocca per un istante.
- Non preoccuparti, non è la fine. Io e te ci incontreremo ancora. - Disse poi.
L'ultimo ricordo che ho di lui è il suo sorriso e i suoi occhi limpidi e chiari, colmi di speranza, mentre sale sulla carrozza.
Ci incontreremo ancora.

La notte è fredda su Hobbiville. Il nuovo anno è arrivato, ma non sarà poi tanto diverso da quello precedente per me.
Esco di nuovo nel cortile, la casa colma dell'odore della tisana che ho bevuto mi riporta ancora troppi ricordi, e non sono sicura di essere abbastanza forte da poterne vivere altri. Nel cortile della casa accanto c'è una figura nascosta nell'ombra.
- Sam? - Sussurro.
- Anche tu non riesci a dormire? - Mi risponde.
Scuoto la testa. Probabilmente anche lui prova qualcosa simile a quello che provo io ogni volta che racconta quella storia.
- Mi manca così tanto. - Mormorai io. - Tu hai almeno una famiglia tra le cui braccia trovare conforto. Io non sono mai stata in grado di costruirmi neanche quella. -
- Hai noi. -
L'anno che era finito mi aveva visto più triste e silenziosa che mai, e ricordavo con nostalgia il mio modo di essere solare e spensierato di tanti anni prima. Che cosa era successo alla solare Viola, quella che non perdeva mai il sorriso?
- Ormai non mi riconosco più, Sam. Dov'è finita la mia allegria? Ormai vivo ogni giorno in quieta disperazione. Non lo rivedrò mai più. -
- Sai che cosa aveva imparato Frodo dalla nostra avventura? - Disse Sam.
La risposta si fece attendere un momento, e quando Sam la pronunciò, mi sembrò di sentirla echeggiare nel mondo che mi circondava, mentre un lieve profumo di gelsomini mi raggiungeva delicato.
- C'è sempre speranza. -

...

- Gandalf, tu pensi davvero qui potremo rincontrare chi abbiamo lasciato? -
- Certamente, amico mio, anche se dovrà passare del tempo e giungeranno per una via diversa dalla tua. Perché me lo chiedi ora? -
- Perché ho tanta voglia di una tazza di tè rosa e gelsomino. -


Don't say "We have come now to the end"
White shores are calling, you and I will meet again.





RoseDivider

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Edited by Lyra‚ - 11/3/2014, 22:07
 
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