~ Ariel Make Up & Belle's Library ~

Tocco d'artista, ~ Romantico

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Lyra‚
view post Posted on 14/1/2014, 11:32




Tocco d'artista







Indice
Uno
Due
Tre


RoseDivider





Andata



Erano le otto e la radiosveglia sul comodino di Giorgia si azionò improvvisamente spandendo nella stanza la voce di Samuele Bersani. Giorgia tentò inutilmente di spegnerla a tentoni, costringendosi ad aprire gli occhi per allungare un dito sul tasto OFF.
Si alzò in piedi sospirando e spalancò la finestra della sua stanza: il sole splendeva nel cielo e l'aria di quel mattino di inizio maggio era già calda. Affacciata al davanzale ripensò a quanto amasse quel piccolo appartamento all'ultimo piano: era proprio un'oasi di pace nella caotica Roma. Giorgia amava la tranquillità di quel posto… anche se aveva sperato davvero di vedere quella pace solitaria interrotta da Simone.
Sospirò ancora, quando si accorse di stare pensando a lui per l'ennesima volta; si erano lasciati da meno di una settimana e qualunque cosa vedesse glielo ricordava: le presine bruciacchiate che lui lasciava sempre troppo vicino ai fornelli, il cassetto semivuoto del mobile del bagno, la mancanza del rasoio elettrico sulla mensola... dovunque posasse lo sguardo c'era qualcosa che le ricordava che non solo Simone non si sarebbe mai trasferito definitivamente da lei, ma che era proprio finita.
Il suono di una sirena la distrasse dai suoi pensieri tristi, riportandola alla realtà e alla giornata di lavoro che l'attendeva. Il suo ufficio, al centro di Roma, dipendeva dall'assessorato alla cultura della Capitale; l'agenzia in cui era stata assunta un anno prima era nota per i suoi eventi mondani in occasione dell'apertura dei nuovi siti archeologici e per la cura che metteva nei restauri.
- Buongiorno! - Esclamò entrando nel proprio ufficio, che divideva con due colleghi.
Si sedette alla scrivania e, come al solito, si dedicò a leggere le mail in arrivo.
La prima era scritta in un intenso verde smeraldo e riconobbe il mittente senza doverlo nemmeno leggere: Elisabetta era solita scrivere nei colori più assurdi solo per il gusto di essere alternativa:
"Ciao Giorgia! Oggi ho il turno al pomeriggio, ho dormito finora! Adesso mi faccio un giro in bicicletta al parco e poi vado a fare un salutino ai bambini. Fammi sapere quando ti va, mi prendo due giorni di ferie e ce ne andiamo al mare a Ostia per uno dei nostri weekend di chiacchiere e relax! Bacio. Tua Elie. "
Giorgia sorrise tra sé: l'idea di due giorni di mare senza pensieri e con la compagnia della sua migliore amica sarebbero stati un vero toccasana per i suoi nervi tesi e il suo cuore spezzato.
In quel momento - ma forse da quando si erano conosciute - l'unica persona di cui Giorgia sentisse il bisogno era proprio Elisabetta. Peccato che fosse a cinquecento chilometri di distanza e con una lista infinita di impegni ad occuparle la giornata.
Si ripropose di telefonare alla sua amica durante la pausa pranzo e tornò a leggere le mail. Non aveva ancora finito quando la segretaria si affacciò alla porta.
- Ha chiamato il capo. Devi andare subito da lui. -
Giorgia si alzò in piedi, specchiandosi nell'anta di vetro della libreria e cercando di ignorare la stretta che le chiudeva lo stomaco: era lì da solo un anno, non poteva già aver ottenuto una promozione. E se avesse combinato qualcosa di sbagliato?
Mentre si avviava all'ascensore pensava agli ultimi lavori che le erano stati affidati: non era mai successo niente di strano, o per lo meno niente che potesse giustificare una convocazione così improvvisa.
Salì al quinto piano del palazzo con il cuore che batteva impazzito.
- Buongiorno, sono la signorina Assisi. - Disse Giorgia alla ragazza all'ingresso.
- Buongiorno a lei, miss, mister Scotti la sta aspettando. - Cinguettò la ragazza.
Le fece cenno di entrare e la scortò fino all'ufficio privato del responsabile, chiudendole la porta alle spalle. Giorgia si ritrovò da sola nel grande ufficio dai mobili scuri, ferma su un folto tappeto davanti a una enorme scrivania coperta di fascicoli e piccoli oggetti d'arte. Il capo, un uomo stempiato sulla cinquantina vestito con un completo dall'aria molto costosa, era seduto su una grossa poltrona di pelle al di là del tavolo e la guardava da sopra le mani intrecciate. La stava soppesando con un'aria di tale superiorità che Giorgia sentì una punta di irritazione sostituirsi al disagio.
"Se continua a guardarmi come se fossi un pezzo di carne da comprare o no, mi giro e me ne vado."
Combattendo contro il suo istinto, però, si forzò di sorridere.
- Aveva chiesto di vedermi? - Domandò.
- Sì, Assisi. Siediti pure. -
A disagio, Giorgia si sedette su una delle grandi poltrone di fronte al suo capo, sentendosi molto piccola e molto fuori posto in quell'ufficio elegante.
- Ascoltami con attenzione. Un'organizzazione culturale della città di Monza ha chiesto una consulenza per una mostra all'aperto. Tu conosci già l'ambiente e hai affiancato diverse persone nell'organizzazione delle mostre. Credo che sia ora di farti provare da sola. -
- Io… io non so che dire… - Disse Giorgia, incerta: non aveva nemmeno capito bene di cosa si trattava.
L'unica cosa che le martellava in testa era la parola "sola". Provare da sola. Una mostra curata interamente da lei. L'idea la faceva sciogliere dalla contentezza.
Il capo riuscì a leggere quello che stava pensando dall'espressione stupita e felice dipinta nei suoi occhi, perché si lasciò andare ad un vago sorriso.
- Emily ti manderà via posta elettronica tutto il materiale in mattinata, le date e i numeri dei responsabili. Attenderò la sua conferma per il primo pomeriggio. - Disse. - Ma le dico subito che rifiutare non sarebbe una mossa intelligente. -
Giorgia si alzò, salutando educatamente, e tornò nel suo ufficio.
Solo quando fu seduta sulla sua sedia girevole azzurra si rese conto di quello che le era stato proposto: organizzare una mostra da sola. Era la sua occasione, non poteva sprecarla.
Il trillo della posta elettronica attirò la sua attenzione e quando si allungò per prendere il mouse lo sguardo le cadde sulla tartarughina di ambra marrone che Simone le aveva regalato per Natale: la usava come fermacarte per i biglietti da visita e in pratica doveva prenderla in mano duecento volte al giorno.
Un sorriso amaro si dipinse sul suo volto mentre il pensiero di Simone si sovrapponeva alla voglia che aveva di cambiare aria, di voltare pagina. Tornare a casa le avrebbe fatto bene e chissà, poteva anche essere l'occasione per rivedere Elisabetta: per una volta sarebbe andata lei a trovarla e non il contrario.
La mail arrivava direttamente dal suo capo e conteneva tutti i dettagli del lavoro che le sarebbe stato affidato: l'idea era quella di una mostra di giovani talenti tenuta nel centro storico della città.
Giorgia sapeva che se si fosse fermata a pensare ai pro e ai contro di quella situazione avrebbe perso un sacco di tempo. O, peggio, avrebbe rinunciato: Monza era una città che detestava e non le piacevano i giovani pittori, troppo spesso cercavano di vendere delle croste facendole passare per elevati capolavori d'arte concettuale.
E poi, se Simone avesse deciso di tornare da lei, lei non ci sarebbe stata.
Lo sguardo le cadde di nuovo sulla tartarughina d'ambra e si disse che era abbastanza da stupidi sbattere la porta in faccia a una proposta così interessante e promettente solo per la remota possibilità di vedere ricomparire alla sua porta un ragazzo che le aveva detto con molta chiarezza di "non provare più per lei le stesse cose di un tempo".
Alzò la cornetta e chiamò il centralino per farsi passare l'ufficio del capo.
- Pronto, signor Scotti? - Disse tutto d'un fiato, quando la voce burbera dell'uomo rispose al telefono. - Sono Assisi. Accetto il lavoro. -


Edited by Lyra‚ - 9/2/2014, 18:59
 
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Lyra‚
view post Posted on 26/1/2014, 16:32







Una settimana più tardi il panorama davanti agli occhi di Giorgia era più che familiare: ferma davanti alla stazione di Monza, a due passi dall'albergo dove avrebbe alloggiato, riconobbe il profilo dei tetti della città dove aveva trascorso la sua adolescenza, distinguendo il campanile del Duomo, i tetti rossi dell'Arengario e la linea bianca e dorata della Rinascente. L'idea che non fosse cambiato niente nonostante fossero passati anni la rassicurava e la infastidiva allo stesso tempo. Sospirando si avviò lungo il viottolo lastricato che portava al Royal Falcone, l'hotel dove avrebbe alloggiato.
Non aveva fatto in tempo a sistemare le proprie cose nella stanza che fu chiamata nella hall: ad aspettarla c’era un signore sulla sessantina, stempiato e vestito in modo molto elegante con un completo nero e scarpe lucide. Appena la vide le si avvicinò.
- Signorina Assisi, piacere di conoscerla. Emilio Brigassi, sono l'ideatore della mostra. - Disse stringendole la mano.
- Giorgia. - Si presentò lei con un sorriso.
- Devo ammettere che non ci aspettavamo una ragazza così giovane. Anche se ammetto che sono piacevolmente colpito. Sarà un evento giovane dall'inizio alla fine! - Disse emozionato l'uomo. - Ma venga, possiamo parlare mentre camminiamo. La accompagno al luogo dove abbiamo pensato di allestire la mostra. Mi dica, conosce già la nostra città? -
- Sono cresciuta qui. Ho studiato allo Zucchi. - Disse Giorgia.
- Oh, ma davvero? E cosa l'ha spinta ad andare così lontano dopo il liceo? -
- Lavoro. -
“E il fatto che questa città provinciale mi fa venire l'orticaria.” Aggiunse mentalmente.
- Beh, è un vero peccato che si sia dovuta spostare tanto dalla nostra bella Monza. Chissà, magari dopo questa mostra riceverà offerte di lavoro così allettanti che le faranno venire voglia di tornare. -
- Vedremo. - Disse Giorgia, con un sorriso conciliante che nascondeva il ribrezzo che provava alla sola idea di tornare al nord.
Raggiunsero a piedi l'Arengario, luogo della mostra, attraversando l'isola pedonale ricca di negozi di alta moda e di firme, ancora più costosi ed eleganti di come li ricordava: Monza era diventata una piccola Milano, e il centro era la sua via Montenapoleone.
“Forse avrei dovuto mettere qualcosa di più elegante”. Pensò Giorgia, vendendo riflessi in una vetrina i suoi jeans aderenti, le anonime ballerine rosse e la camicetta traforata.
Arrivati all'Arengario, il signor Brigassi la presentò ai suoi collaboratori, affidandola al suo assistente perché le illustrasse il progetto. L'idea era quella di appendere opere d'arte ai vari pilastri dell'Arengario, illuminandole da faretti abilmente nascosti tra le arcate e i capitelli del soffitto. All'esterno ci sarebbero stati dipinti interessanti, ma il meglio doveva essere risparmiato per il piano superiore, dove i visitatori avrebbero potuto informarsi sulle attività dell'agenzia organizzatrice e chiedere di poter comprare i quadri esposti.
Al termine del giro visite le diede un grosso raccoglitore colmo di fotografie di dipinti tra cui Giorgia avrebbe dovuto iniziare a scegliere i quadri da esporre. La ragazza tornò in albergo per il pranzo barcollando sotto il peso del faldone di fotografie, delle parole di cui era stata sommersa e del caos che regnava per le strade di Monza.
Dopo pranzo, mentre dedicava qualche ora al riposo, pensò che forse era giunto il momento di annunciare ad Elisabetta la sua parentesi brianzola. Avrebbe fatto i salti di gioia, sapendolo... e sarebbe anche stato probabile vedersela comparire all'improvviso davanti alla porta della camera d'albergo.
Avviò la chiamata verso il telefono della sua amica e attese di sentire la sua voce trillare dall'altra parte della linea.
- Giò! -
- Elie, ciao. -
- Che bello sentirti! Come stai? Che fai di bello? -
- Lavoro, come sempre. Ma non indovinerai mai da dove ti sto chiamando. -
- Credo di poter escludere New York, altrimenti non avresti il coraggio di dirmelo. -
- No, infatti. È molto più vicino a dove abiti tu. Davvero molto. -
Elisabetta gridò di entusiasmo con un volume tale da obbligare Giorgia ad allontanare il cellulare dall'orecchio.
- Sei qui a Milano! -
- Indovinato. - Rise Giorgia. - Sono a Monza per una mostra. -
- Comecomecome? Sei a Monza per una mostra? E che aspettavi a dirmelo? -
- Volevo farti una sorpresa ma ho l'impressione che non avrò nemmeno un momento libero. Come stai, Elie? -
- Bene, ma non ho nessuna intenzione di parlarti al telefono quando posso averti dal vivo! Stasera alla Gelateria del Centro? -
- Non so se... - Iniziò Giorgia.
- Non accetto scuse! Non ci vediamo da mesi, ci dobbiamo incontrare! A costo di presentarmi alla porta della tua stanza d'albergo a picchiare i pugni finché non mi apri! - Esclamò Elisabetta, senza darle il tempo di finire.
Giorgia sorrise: se c'era una cosa che il tempo non aveva cambiato, nella sua migliore amica, era la totale mancanza di mezzi termini.
- D'accordo. Ci vediamo lì davanti. - Disse con un sorriso.
- Perfetto. A stasera! - Trillò Elisabetta con entusiasmo, prima di riattaccare.
Dopo il lungo pomeriggio di lavoro Giorgia si concesse una doccia tiepida prima dell'appuntamento con la sua migliore amica.
Non si vedevano da quando ad ottobre Elisabetta era scesa a Roma a trovarla: durante quelle settimane si erano scritte spesso e telefonate, qualche volta, ma vedersi era un'altra cosa.
Appena giunse in vista della gelateria, luogo di ritrovo dell'adolescenza di entrambe, Giorgia vide Elisabetta già lì davanti. Era la solita di sempre: portava un vestito a fiorellini, un golfino azzurro e un paio di ballerine.
- Elie! - Esclamò.
Elisabetta si voltò, la vide e le corse incontro per salutarla.
- Hai tagliato i capelli! - Esclamò Giorgia, vedendo che la lunga chioma color miele della sua amica era stata drasticamente accorciata, scalata e dotata di frangetta.
- Cambiare fa bene. - Replicò Elisabetta, scuotendo i capelli e sorridendo allegramente. - Tu invece sei bella come sempre. -
- Esagerata. - Rispose Giorgia sorridendo.
Si sedettero ai tavolini rotondi della gelateria godendosi il tepore della sera di maggio e il vociare delle famiglie che passeggiavano nella piazza di fronte al locale. Al di là del monumento che vi sorgeva in mezzo si vedeva la massiccia costruzione ocra del liceo dove avevano studiato entrambe.
- Allora, allora, raccontami. - Disse Elisabetta, sporgendosi sul tavolino avida di novità.
- Sono un po' stanca, lo ammetto: non ho ancora avuto un momento per realizzare di essere qui. -
- E pensare che avevi detto che non saresti mai tornata a Monza. Mai e poi mai. -
- Vero. Ma non ho intenzione di rimanere: tra una settimana la mostra sarà avviata e potrò tornare al mio ufficio a Roma. -
- Ti dà così fastidio potermi vedere tutti i giorni? - Rispose Elisabetta mettendo il broncio.
- Ma no, Elie, sai benissimo che non è per te. È proprio la città. -
- Lo so. - Disse Elisabetta con un sorriso. - Ed è per questo che mi chiedo come mai tu abbia accettato. Anche se una mezza idea ce l'avrei. -
Giorgia abbassò gli occhi, mescolando con il cucchiaino il suo marocchino bevuto a metà.
- Avevo bisogno di cambiare aria. - Rispose alla fine, in un sussurro.
- L'hai più sentito? -
Giorgia scosse la testa, alzando gli occhi per dire alla sua amica quanto le facesse ancora male affrontare quell'argomento.
- Non pensarci. - Disse in fretta Elisabetta. - Vedrai che ti passerà. -
- Non credo che sarà così facile. Lui era... beh, era perfetto per me. -
- Se ti ha lasciato non poteva essere perfetto per te. Gli mancava di sicuro qualcosa, per essere il massimo. -
- Davvero? E cosa, sentiamo. - Rispose Giorgia, punta sul vivo.
- Il fatto di amarti. - Replicò Elisabetta con un sorriso.
Giorgia sorrise a sua volta, pensando che la candida saggezza della sua migliore amica sembrava ancora uscita dai libri che lei tanto amava.
- Ogni volta che ci vediamo finiamo per parlare di me. - Disse. - Non mi hai più detto se l'affascinante infermiere di radiologia ti hai poi invitata ad uscire. -
- Giorgia! - Esclamò Elisabetta.
- Beh, che c'è? Me l'hai detto tu che vi incontrate ogni mattina alla macchinetta del caffè! Pensavo che dopo tutti quegli incontri casuali avrebbe trovato il coraggio di invitarti! -
- A parte un paio di cappuccini e un passaggio in macchina il giorno in cui la Cinquecento mi ha lasciato a piedi, Andrea non ha mai dimostrato di avere particolare simpatia per me. -
- Certo. -
- Non essere supponente! -
- È solo che non capisco come non ci sia mai nessun uomo nella tua vita. -
- Sto bene anche da sola, e lo sai anche tu. -
- Ma certamente... è solo che non mi sembra possibile che non ci sia nessuno che si accorga di quanto sei fantastica. Come ti ho sempre detto, forse sei tu che non lo noti. -
Elisabetta rimase in silenzio per un momento, poi alzò gli occhi verso Giorgia.
- Andrea è gay. - Aggiunse Elisabetta, con voce carica di delusione.
A quell'affermazione, a Giorgia morirono le parole in bocca.
- Me l'ha detto l'altro giorno, con serenità, mentre mi offriva l'ennesimo caffè. - Continuò Elisabetta con amarezza. - Forse si era accorto che iniziavo ad interessarmi troppo a lui. -
Giorgia si sporse per stringerle una mano, ma Elisabetta sfuggì al suo contatto e si guardò rapidamente intorno, per poi tornare a sorriderle.
- Sei andata a fare un giro allo Zucchi? - Le chiese.
- Oh, no. Non sono ancora pronta a un tour dei ricordi con tutti i crismi. -
- Dobbiamo assolutamente rimediare. - Disse Elisabetta alzandosi.
- Dove stai andando? -
- Alla scuola, ovviamente. Il cancello sarà chiuso, ma si vede benissimo anche da fuori. -
- No. Elie, no! - Esclamò Giorgia, prendendo anche le sue cose e protestando inutilmente mentre seguiva la sua amica verso la scuola.
Sui gradini dell'ingresso erano seduti dei liceali vestiti piuttosto eleganti. Giorgia si sentì i loro occhi addosso per tutto il tempo che impiegò a raggiungere Elisabetta vicino al cancello di ferro battuto.
All'interno la luce dei lampioncini rotondi era bianca e limpida e spandeva riflessi argentati sulle foglie delle siepi ben curate e tra i chiaroscuri dei grandi sempreverdi del cortile. Le rose canine vibravano nell'aria tiepida della sera di maggio e l'acqua che zampillava dalla fontana rendeva ancora più idilliaco il quadretto, incorniciato dal loggiato dai colori pastello. Visto così, sembrava lo scenario di un bel film medievale, non un liceo classico decisamente vecchio stile.
- Un po' mi manca, questo posto. - Disse Elisabetta.
- A me no. -
- Non ti piacerebbe tornare indietro? - Domandò l'amica, aggrappandosi alle sbarre del cancello per riuscire a vedere più lontano.
- E tornare ad essere un'adolescente imbranata che non sapeva vestirsi e non aveva idea di cosa fare della sua vita? No, grazie. Sto bene così. -
- A me manca. - Disse in un sussurro Elisabetta. - Però la parte migliore del liceo è stata di certo la nostra amicizia. E quella è ancora qui. -
 
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Lyra‚
view post Posted on 9/2/2014, 18:44







I primi due giorni servirono a Giorgia per ambientarsi e iniziare la collaborazione con gli altri del comitato: erano tutti piuttosto gentili, anche se lei riusciva a percepire un sottile scetticismo nei suoi confronti. Forse era dovuto al fatto che veniva da Roma, forse alle sue ballerine e alle sue magliette anonime o forse alla sua età, ma quello che era certo era che tutte le sue idee venivano vagliate nel minimo dettaglio, come se i collaboratori di Emilio volessero a tutti i costi trovare un difetto nelle sue proposte.
Giorgia però era una che non si scoraggiava davanti alle difficoltà, e in più era stata dotata di una mente creativa e brillante: anche davanti alla peggiore critica riusciva a trovare un modo di far rivalutare la sua idea o di avere un'altra occasione per proporsi e alla fine quasi tutte le sue idee furono accolte favorevolmente.
Il mercoledì mattina sarebbero iniziati i lavori di allestimento pratico della mostra e Giorgia si presentò molto presto all'Arengario per presiedere la scelta dei quadri, delle luci e della preparazione della sala al primo piano.
- Buongiorno, signorina. - Disse il segretario di Emilio, raggiungendola con il suo tablet tra le mani. - La società che espone ha mandato qui il responsabile per la scelta delle opere. -
Sospirando all'idea di avere a che fare con l'ennesimo burocrate monzese, Giorgia si fece dire dove l'aspettava per raggiungerlo e iniziare a lavorare: prima avrebbe finito di parlare con lui, prima sarebbe riuscita ad andare a cena da Elisabetta. L'assistente le aveva detto che poteva trovare Tommaso Alfieri nella sala al primo piano, così Giorgia salì le scale.
Appena arrivò al piano di sopra rimase allibita: fino al pomeriggio precedente la grande sala era spoglia e fredda, piena solo dell'odore intenso dell'intonaco e dello stucco con cui avevano ritoccato i soffitti. Ma quel mattino le tende di lino ocra alle finestre ondeggiavano nella brezza mattutina, circondando le finestre da cui si riuscivano a intravedere ritagli di cielo turchese tra un palazzo e l'altro. Il soffitto risplendeva della luce riflessa dell'intonaco immacolato e il pavimento, di un caldo color mattone, si sposava stupendamente con gli arredi in legno scuro: gli scaffali per gli opuscoli, il tavolino per il rinfresco, la scrivania per le informazioni e gli sgabelli e le sedie per i sorveglianti della mostra.
In fondo alla sala c'era un uomo: le dava le spalle ed era molto impegnato a sistemare una piantina di edera su una mensola in modo che le sue foglie cadessero dal ripiano in modo grazioso. Era alto, slanciato, con le spalle larghe e le gambe snelle. Indossava una camicia azzurro chiaro a maniche corte, un bel paio di jeans dal taglio elegante e scarpe di tela.
Fece qualche passo avanti sforzandosi di fare rumore in modo da essere sentita, ma il ragazzo non si girò. Si schiarì la voce due o tre volte, sperando senza inutilmente di riuscire ad attirare la sua attenzione e alla fine lo raggiunse, scivolandogli di lato per entrare nel suo campo visivo e per guardarlo in faccia.
Era molto più giovane di come Giorgia se lo aspettava: doveva avere a malapena trent'anni. Aveva un bel viso dolce, grandi occhi castani con ciglia bionde e i capelli chiari scomposti in ciocche disordinate sulla fronte.
L'espressione sorpresa che si dipinse sul volto del ragazzo quando la vide fu giustificata dalla presenza degli auricolari nelle sue orecchie. Rapidamente il giovane si ricompose, si sfilò le cuffiette e sorrise elegantemente.
- Non ti ho sentita, scusami. - Disse. - Tommaso Alfieri, responsabile dell'associazione che espone i quadri. -
- Giorgia Assisi. La curatrice della mostra. -
Tommaso strinse la mano che Giorgia gli tendeva guardandola dritta negli occhi senza dare il minimo segno di imbarazzo.
- Allora sei tu la bella romana. Non l'avrei mai detto, non hai l'accento della capitale. -
- Sono a Roma da poco. - Tagliò corto Giorgia. Lo sguardo diretto di quel ragazzo la stava mettendo a disagio. Sciolse la mano dalla sua stretta e cambiò rapidamente discorso.
- Pensavo che potevamo iniziare a scegliere i quadri per l'esterno e la sala d'ingresso. L'idea è quella di lasciare il meglio per l'ultima sala, dove ci sarà lo stand di offerta per le opere. -
- È un'ottima idea! - Disse Tommaso con gli occhi che brillavano. - Hai già deciso cosa esporre per l'inaugurazione? -
- Ho diviso le foto dei dipinti in tre gruppi, uno per sala. Per fare la scelta definitiva volevo vedere i quadri dal vivo. Il signor Brigassi mi ha detto che li avresti portati tu. - Rispose Giorgia, rendendosi improvvisamente conto che non avevano nemmeno contemplato il “lei”, nella loro presentazione.
- Sono tutti al piano di sotto. Vieni, andiamo a dargli un'occhiata. - Disse Tommaso, facendole cenno di seguirlo con uno sguardo così affascinante che Giorgia fu tentata di rispondergli di no.
Mentre scendeva le scale, si impose di comportarsi con quell'affascinante ragazzo biondo come avrebbe fatto con qualunque manager brianzolo stempiato e brizzolato. Il fatto che fosse incredibilmente carino non gli avrebbe concesso di fare breccia nel suo cuore. Non dopo Simone.
- Ecco qui. Possiamo guardarli uno ad uno con tutta calma. - Disse Tommaso, mostrando cinque grossi bauli con le fibbie d'ottone aperti, ognuno contenente una decina di tele di ogni dimensione.
Giorgia gli scoccò uno sguardo che voleva essere professionale, ma che probabilmente non fu efficace: Tommaso si sedette vicino a lei e le mostrò i quadri ad uno ad uno, descrivendoli tutti con un tale entusiasmo da farla distrarre continuamente, incantata dal suono della sua voce e dal tocco delle sue dita che accarezzavano la tela.
Il risultato fu che dopo un baule e mezzo di quadri si sentiva completamente frastornata e non ricordava nulla di quello che aveva visto. Sbattendo le ciglia e realizzando di essere confusa, Giorgia decise di rompere l'incanto della voce di Tommaso dicendo qualcosa.
- Questo mi piace. - Disse prendendo in mano una tela ad olio di medie dimensioni.
Ritraeva un tramonto incredibile in cui si potevano vedere tutte sfumature di rosso e di arancione esistenti, e forse anche qualcuna che non aveva mai visto prima. Al centro della tela un sole di fuoco spandeva i suoi raggi scarlatti in ogni direzione, in un gioco di onde e linee stupefacente.
- È perfetto per la mostra. - Disse ancora, colpita dall'aver trovato per caso un'opera così incredibile. - Lo stile moderno, i colori accesi... è pieno della passione dell'esordiente ma già deciso e convinto. Potrebbe essere il dipinto ideale per la parete appena fuori dalle scale, sono convinta che colpirebbe la vista più di qualunque altra tela.-
- Non si può. - Disse Tommaso improvvisamente.
- Perché no? È il primo dipinto che mi colpisce davvero! -
- Non si può perché non si vende. -
- Ah no? - Sbottò Giorgia, mettendosi le mani sui fianchi e sfoderando la sua espressione più agguerrita. - E per quale motivo? -
Non si sarebbe fatta sfuggire il miglior quadro visto fino a quel momento - quadro che nelle foto del catalogo non c'era - per un capriccio di quel ragazzo dagli intensi occhi castani.
- Perché l'autore non vuole esporlo. - Replicò Tommaso con un sorriso meraviglioso, tanto affascinante che Giorgia ci mise un secondo a trovare il giusto tono piccato per rispondere:
- E come fai a saperlo? -
- Perché l'autore sono io. - Concluse il ragazzo, sfilando il dipinto dalle mani di Giorgia e riponendolo con gli altri nel baule.
Giorgia sbatté le ciglia per un istante, guardando Tommaso far scorrere i dipinti nel baule alla ricerca di un'altra tela da mostrarle.
- Se è veramente tuo hai talento. - Disse all'improvviso, parlando prima ancora di rendersene conto.
Tommaso sorrise, e i suoi occhi castani scintillarono.
- Non avresti detto che sono un pittore? Io l'ho capito subito che tu sei portata per l'arte. -
- Ah sì? E da cosa? - Disse Giorgia con un sorriso divertito, incrociando le braccia sul petto
- Si capisce da come ti vesti. L'arte è parte di te. -
Giorgia distolse lo sguardo, cercando di camuffare il sorriso e le guance rosse, ma Tommaso continuò imperterrito.
- L’arte fa parte delle persone… è come la musica. Quando una persona ama la musica o l’arte si vede. È come una luce che gli risplende intorno, come un profumo che si sente a distanza… da come mi vesto io non si vede, ma tu… tu risplendi proprio della creatività che hai dentro. -
- E sentiamo, genio, in cosa sarei diversa dalla gente che hai intorno? Non mi sembra di avere macchie di tempera sulla camicia o improbabili foulard multicolori al collo. - Replicò Giorgia, cercando di camuffare sotto un tono di voce scherzoso il vago piacere dovuto ai complimenti.
Indossava un paio di ballerine e pantaloni neri, una maglietta bianca a maniche a tre quarti e aveva raccolto i capelli con una molletta di osso sulla nuca. L'unico tocco di colore era una lunga collana di ciottoli d'ambra.
- Non è quello che indossi, ma come lo abbini. Bianco e nero sarebbe normale, ma l'ambra... scalda il colore dei tuoi occhi. - Disse Tommaso, avvicinandosi pericolosamente a lei e allungando una mano.
Paralizzata da una sensazione che le bloccava la bocca dello stomaco e le impediva qualunque movimento, Giorgia si limitò a deglutire, seguendo le dita di Tommaso che le accarezzavano i grani della collana.
- Se mettessi io questi tre colori assieme farei la figura dell’idiota, invece a te stanno d’incanto. Forse è merito del tuo incarnato e dei tuoi capelli bruni. - Continuò Tommaso con un sorriso, mentre alzava gli occhi e Giorgia poteva notare le screziature dorate delle sue iridi color cioccolata.
Un leggero capogiro rese Giorgia ancora più confusa, impedendole di distogliere lo sguardo, finché la voce di Emilio non ruppe il silenzio.
- Buongiorno Giorgia! Vedo che hai già conosciuto Tommaso. - Disse.
Tommaso distolse lo sguardo, facendo un passo indietro, e Giorgia si ricompose meglio che potè per poter augurare il buongiorno al responsabile della mostra.
Dopo i convenevoli Emilio si allontanò con Tommaso per sbrigare delle pratiche e Giorgia rimase sola con il suo catalogo e i bauli colmi di quadri. Accertandosi che Tommaso non fosse in giro, aprì il baule e riprese tra le mani l'intenso tramonto che aveva ammirato poco prima. Era meraviglioso, era pieno di forza e di colore.
Giorgia scosse rapidamente la testa, nascondendo per bene la tela dietro tutte le altre, sfregandosi poi le dita sui pantaloni come per eliminare anche la più piccola traccia di quel quadro dalla sua memoria.
Infuriata con sé stessa per il modo in cui aveva flirtato con Tommaso, aprì il catalogo per sfogliarlo di nuovo.
Ci era cascata di nuovo, proprio come l'ultima volta.
Tra lei e Simone era iniziata allo stesso modo: lei innocente, lui malizioso. Le sorrideva in modo così amabile da dietro il bancone della caffetteria sotto casa, sempre pronto a offrirsi per una chiacchierata! Era così carino e affascinante che in meno di un mese Giorgia aveva ceduto alla sua corte spietata, accettando i suoi inviti prima per scherzo, poi per piacere e infine con gioia, scoprendo di essersi lentamente innamorato di quel ragazzo così affabile e sorprendente.
Stava facendo la stessa cosa: stava di nuovo cadendo tra le braccia dell'ennesimo Casanova che pensava di poterla conquistare con qualche sorriso e un paio di commenti su colori e vestiti.
Sbattendo il catalogo sul tavolo, si guardò intorno sbuffando. Quella doveva essere la sua settimana di relax, dove pensare solo ed esclusivamente a sé stessa... e invece era di nuovo invischiata in capogiri, sorrisini e strette allo stomaco. Non esisteva. No e poi no.
Come richiamato dai suoi pensieri, Tommaso le comparve davanti.
- Devo andare. Ti lascio i quadri, così li puoi guardare con calma nel pomeriggio. - Disse. - Potremmo parlarne, prima di fare la scelta definitiva? Ho qualche idea da proporti. -
- Certamente. - Disse Giorgia col tono più professionale che le riuscì.
- Le mie giornate sono molto impegnate, e credo anche le tue. Che ne dici di stasera a cena? -
Giorgia sbatté le ciglia, costringendosi a rimanere presente a sé stessa.
- No, non posso. -
- Oh, peccato. Domani a colazione? Andiamo qui vicino, offro io. - Disse Tommaso con un sorriso suadente.
- Va... va bene. - Disse Giorgia.
- Stupendo. Ci vediamo al Bar del Centro domattina, otto precise. -
Quando Tommaso scomparve dalla sua visuale, Giorgia dovette ripetersi decine di volte che quello che le aveva lanciato non era un occhiolino, ma un normalissimo cenno di saluto.
 
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